IL SEGRETO

 

Il giorno in cui Eliza partì da Valparaìso nascosta nella stiva dell'Emilia, i tre fratelli Sommers cenarono all'Hotel Inglés ospiti di Paulina, la moglie di Feliciano Rodriguez de Santa Cruz, e rientrarono tardi alla loro casa di Cerro Alegre. Non seppero della scomparsa della ragazza fino a una settimana dopo, perché la immaginavano insieme a Mama Fresia nella tenuta di Agustin del Valle.

Il giorno successivo, John Sommers firmò il contratto di capitano del Fortuna, il nuovissimo vapore di Paulina. Con un semplice documento contenente i termini dell'accordo si concluse l'affare. Era stato sufficiente che si fossero visti una volta per fidarsi reciprocamente e non avevano tempo da perdere in minuzie legali, la smania di arrivare in California li accomunava. Nonostante gli appelli alla prudenza pubblicati sui giornali ripetuti in apocalittiche omelie dai pulpiti delle chiese, l'intero Cile era irretito dalla stessa lusinga. Il capitano impiegò solo qualche ora a reclutare l'equipaggio del suo vapore, perché le lunghe file di postulanti contagiati dalla febbre dell'oro continuavano ad aggirarsi per i moli. Molti di loro trascorrevano la notte dormendo per terra pur di non perdere il posto. Fra lo stupore di altri uomini di mare, che stentavano a capire le sue ragioni, John Sommers si rifiutò di caricare passeggeri, di modo che la sua imbarcazione avrebbe viaggiato praticamente vuota. Non offrì spiegazioni. Aveva in mente un progetto da filibustiere per evitare che i suoi marinai disertassero una volta arrivati a San Francisco, ma lo tenne per sé, perché se l'avesse reso pubblico, non ne avrebbe trovato uno solo disposto a imbarcarsi. Non comunicò nemmeno alla ciurma che prima di prendere la rotta per il Nord avrebbero compiuto un insolito giro a Sud. Attendeva di trovarsi in alto mare per farlo.

"E dunque lei si sente in grado di guidare il mio vapore e di tenere sotto controllo l'equipaggio, non è così, capitano?" gli chiese per l'ennesima volta Paulina mentre gli allungava il contratto da firmare.

"Si, signora, non abbia paura. Posso salpare nel giro di tre giorni."

"Molto bene. Sa di cosa c'è bisogno in California, capitano? Di prodotti freschi: frutta, verdura, uova, formaggio di buona qualità, insaccati. Questo è ciò che noi venderemo là."

"Ma come? Arriverà tutto marcio..."

"Lo trasporteremo con ghiaccio," disse lei imperturbabile. "Con cosa?"

"Con ghiaccio. Lei prima andrà a sud a prendere il ghiaccio. Sa dove si trova la laguna di San Rafael?"

"Vicino a Puerto Aisén."

"Mi fa piacere che conosca quelle zone. Mi hanno detto che li si trova uno dei più bei ghiacciai azzurri. Voglio che riempia il Fortuna di pezzi di ghiaccio. Cosa ne pensa?"

"Mi scusi, signora, ma mi sembra una follia."

"Proprio così. Per questo non è venuta in mente a nessuno. Si porti dei barili di sale grosso, una buona provvista di sacchi e mi avvolga dei pezzi belli grandi. Ah! Immagino che dovrà far coprire i suoi uomini per non farli congelare. E già che ci siamo, capitano, mi faccia la cortesia di non parlarne con nessuno, così non ci ruberanno l'idea."

John Sommers si congedò da lei sconcertato. Prima pensò che la donna fosse impazzita, ma poi, più ci rimuginava, più l'avventura lo intrigava. Inoltre, non aveva niente da perderci. Lei poteva rovinarsi; lui avrebbe comunque percepito lo stipendio, anche se il ghiaccio si fosse sciolto strada facendo. E se quella follia avesse avuto successo, lui avrebbe ricevuto come da contratto un bonus di tutto rispetto. La settimana dopo, quando scoppiò la notizia della scomparsa di Eliza, lui era diretto al ghiacciaio con le caldaie che ansimavano e non ne fu messo al corrente che al ritorno, quando approdò a Valparaiso per caricare i prodotti che Paulina aveva predisposto venissero trasportati nel nido di neve in California, dove il marito e il cognato li avrebbero venduti a un prezzo di parecchio superiore al loro valore. Se andava tutto come aveva pianificato, con tre o quattro viaggi del Fortuna lei avrebbe avuto più denaro di quanto avesse mai sognato; aveva calcolato quanto ci avrebbero messo altri impresari a copiare la sua iniziativa prima di infastidirla con la loro concorrenza. E in quanto a lui, be', portava anche lui un articolo che pensava di aggiudicare al migliore offerente: libri.

Quando Eliza e la tata non rientrarono a casa il giorno stabilito, Miss Rose mandò il cocchiere con un biglietto per assicurarsi che la famiglia del Valle fosse rimasta ancora nella tenuta e che Eliza stesse bene. Un'ora dopo apparve alla sua porta la moglie di Agustin del Valle, molto allarmata. Di Eliza non sapeva niente, disse. La famiglia non si era mossa da Valparaìso perché suo marito era prostrato da un attacco di gotta. Non vedeva Eliza da mesi. Miss Rose ebbe sufficiente sangue freddo per dissimulare: si era sbagliata, si scusò, Eliza era a casa di un'altra amica, si era confusa, le era molto riconoscente per essersi disturbata a venire personalmente... La signora del Valle non credette a una sola parola, come era da attendersi e, prima che Miss Rose riuscisse ad avvisare il fratello Jeremy in ufficio, la fuga di Eliza Sommers era sulla bocca di tutta Valparaìso.

Il resto del giorno Miss Rose lo trascorse a piangere e Jeremy Sommers a congetturare. Ispezionando la camera di Eliza trovarono le lettere d'addio, che rilessero diverse volte nella vana ricerca di qualche pista. Non riuscirono nemmeno a localizzare Mama Fresia per interrogarla e fu solo allora che si resero conto che della donna, che per diciotto anni aveva lavorato per loro, non conoscevano nemmeno il cognome. Non le avevano mai chiesto da dove venisse, né se avesse famiglia. Mama Fresia, come gli altri servi, apparteneva al vago limbo dei fantasmi utili.

"Valparaìso non è Londra, Jeremy. Non possono essere andate molto lontano. Bisogna cercarle."

"Ti rendi conto dello scandalo che scoppierà quando inizieremo a indagare tra i nostri amici?"

"Cosa vuoi che mi interessi quello che dirà la gente! La cosa più importante è trovare Eliza presto, prima che si metta nei guai."

"Francamente, Rose, se ci ha abbandonati a questo modo, dopo tutto quello che abbiamo fatto per lei, vuol dire che nei guai c'è già."

"Cosa vuoi dire? Che tipo di guai?" chiese Miss Rose inorridita.

"Un uomo, Rose. È l'unico motivo per cui una ragazza può commettere una stupidaggine di tali proporzioni. Tu lo sai meglio di chiunque altro. Con chi può essere Eliza?"

"Non riesco neanche a immaginarlo."

Miss Rose poteva immaginarlo perfettamente. Sapeva chi era il responsabile di quella tremenda disgrazia: quel tizio dall'aspetto funereo che alcuni mesi prima aveva portato a casa della merce, il dipendente di Jeremy. Non ne conosceva il nome, ma l'avrebbe scoperto. Tuttavia non disse niente al fratello perché credette di essere ancora in tempo per riscattare la fanciulla dalle insidie di un amore difficile. Ricordava con precisione da notaio ogni particolare della sua esperienza con il tenore viennese, l'angoscia di allora era ancora a fior di pelle. Non lo amava più, era vero, se l'era strappato dall'anima da secoli, ma bastava bisbigliare il suo nome per sentire nel petto un fragoroso rintocco di campana. Karl Bretzner era la chiave del suo passato e della sua personalità: il fugace incontro con lui aveva determinato il suo destino e la donna in cui si era trasformata. Se si fosse innamorata di nuovo come allora, pensò, si sarebbe comportata allo stesso modo, pur sapendo che quella passione le avrebbe spezzato la vita. Forse Eliza avrebbe avuto miglior fortuna e l'amore avrebbe imboccato una strada dritta; forse, nel suo caso, l'amante non era impegnato, non aveva figli e una sposa tradita. Doveva trovare la ragazza, affrontare quel maledetto seduttore, obbligarli a sposarsi  e poi, a cose fatte, presentare la situazione a Jeremy, che alla lunga avrebbe finito per accettarla. Sarebbe stato difficile, data la rigidità del fratello nelle questioni d'onore, ma come aveva perdonato lei, avrebbe perdonato anche Eliza. Persuaderlo sarebbe stato compito suo. Non si era assunta il ruolo di madre in tutti quegli anni per rimanersene a braccia conserte davanti a un errore della sua unica figlia, concluse.

Mentre Jeremy Sommers si rinchiudeva in un silenzio opportuno e dignitoso che, tuttavia, non lo poteva salvaguardare dalle chiacchiere sfrenate, Miss Rose si mise in azione. Dopo pochi giorni aveva scoperto l'identità di Joaquin Andieta e, con orrore, aveva appreso che si trattava nientemeno che di un ricercato dalla giustizia. Era accusato di aver falsificato la contabilità della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione e di aver rubato della merce. Capì che la situazione era ben più grave di quanto si fosse immaginata: Jeremy non avrebbe mai accettato un simile individuo in seno alla famiglia. Peggio ancora, non appena fosse riuscito a mettere le mani,addosso all'ex-dipendente l'avrebbe sicuramente mandato in prigione anche se si fosse trattato del marito di Eliza. "A meno che io non trovi il modo di obbligarlo a ritirare le accuse contro quel verme e non riesca a ripulirgli il nome per il bene di tutti noi," borbottò tra sé Miss Rose, furibonda. Per prima cosa doveva trovare gli amanti, poi avrebbe pensato a come sistemare il resto. Si guardò bene dal menzionare la sua scoperta e passò il resto della settimana a fare indagini a destra e a manca fino a quando, nella Libreria Santos Tornero, le parlarono della madre di Joaquin Andieta. Riuscì a conoscere il suo indirizzo semplicemente chiedendo nelle chiese; esattamente come si immaginava, i sacerdoti cattolici conoscevano a uno a uno i loro fedeli.

Il venerdì, a mezzogiorno, si presentò alla donna. Si recò da lei piena di boria, animata da una giusta indignazione e pronta a dirgliene quattro, ma a mano a mano che avanzava per le stradine contorte di quel quartiere, dove non aveva mai messo piede, iniziò a ridimensionarsi. Si pentì del vestito scelto, si dispiacque per quel cappello troppo civettuolo e per gli stivaletti bianchi, si sentì ridicola. Bussò alla porta imbarazzata per un senso di vergogna, che si trasformò in sincera umiltà non appena vide la madre di Andieta. Non si era immaginata tale devastazione. Era una donnina da nulla, dagli occhi febbricitanti e l'espressione triste. Le sembrò anziana, ma guardandola meglio capì che era ancora giovane e che doveva essere stata bella, ma non c'era dubbio che fosse ammalata. La ricevette senza scomporsi, abituata alle signore ricche che si recavano da lei per commissionarle lavori di cucito e di ricamo. Si passavano l'indirizzo l'una con l'altra e quindi non era strano che una dama sconosciuta bussasse alla sua porta. Questa volta si trattava di una straniera, lo si poteva dedurre da quell'abito color farfalla, nessuna cilena avrebbe osato vestirsi così. La salutò senza sorridere e la fece entrare.

"Si sieda signora, prego. In cosa posso servirla?"

Miss Rose si sedette sul bordo della sedia che le veniva offerta e non riuscì a spiccicare parola. Tutto quello che aveva pianificato di dirle era svanito dalla sua mente in un lampo di totale compassione per quella donna, per Eliza e per se stessa, e le lacrime avevano preso a sgorgarle come ruscelli, lavandole il viso e l'anima. La madre di Joaquin Andieta, turbata, le prese una mano tra le sue.

"Cosa le succede, signora? La posso aiutare?"

E allora Miss Rose aveva iniziato a raccontarle tra i singhiozzi nel suo spagnolo da gringa che la sua unica figlia era sparita da più di una settimana, che era innamorata di Joaquin, che si erano conosciuti qualche mese prima e che da allora la ragazza non era più stata la stessa, si aggirava in preda alle fiamme dell'amore, era evidente a tutti, tranne che a lei che era stata talmente egoista e distratta da non essersene accorta in tempo, ma adesso era tardi perché i due erano scappati. Eliza si era rovinata la vita esattamente come lei aveva fatto a suo tempo. E continuando a sciorinare una cosa dopo l'altra senza riuscire a trattenersi, arrivò a raccontare a quell'estranea ciò che mai aveva rivelato, le parlò di Karl Bretzner e dei suoi amori orfani e dei vent'anni trascorsi da allora col cuore addormentato e il ventre disabitato. Pianse copiosamente le perdite taciute nel corso della sua vita, i momenti di rabbia nascosti per buona educazione, per i segreti che le gravavano addosso come i ceppi di un prigioniero, per il prezzo con cui aveva salvato le apparenze, e per l'ardente gioventù buttata al vento semplicemente a causa della cattiva sorte di essere nata donna. E quando alla fine non ebbe più fiato per singhiozzare, rimase seduta, senza riuscire a capire che cosa le fosse successo né da dove venisse quella diafana sensazione di sollievo che iniziava a pervaderla.

"Prenda un po' di tè," disse la madre di Joaquin Andieta dopo un lunghissimo silenzio, posandole una tazza sbeccata in mano.

"Per favore, la prego, mi dica se Eliza e suo figlio sono amanti. Non sono impazzita, vero?" mormorò Miss Rose.

"Può darsi, signora. Anche Joaquin aveva perso la testa. Ma non mi rivelò mai il nome della ragazza."

"Mi aiuti, devo ritrovare Eliza..."

"Glielo posso assicurare: non è con Joaquin."

"Come fa a dirlo?"

"Non mi ha detto che la bambina è sparita solamente da una settimana? Mio figlio se n'è andato in dicembre."

"Se n'è andato, ha detto? Dove?"

"Non lo so."

"La capisco, signora. Al suo posto anch'io cercherei di proteggerlo. So che suo figlio ha problemi con la giustizia. Le do la mia parola d'onore che lo aiuterò, mio fratello è il direttore della Compagnia Britannica d'Importazione ed Esportazione e farà quel che gli dirò. Non rivelerò a nessuno dove si trova suo figlio, voglio solo parlare con Eliza."

"Sua figlia e Joaquin non sono insieme, mi creda."

"So che Eliza l'ha seguito."

"Non può averlo seguito, signora. Mio figlio se n'è andato in California."

 

 

Il giorno in cui il capitano Sommers tornò a Valparaìso con il Fortuna carico di ghiaccio azzurro trovò ad attenderlo sul molo i suoi fratelli, come sempre, ma gli bastò osservarne le facce per capire che era successo qualcosa di molto grave. Rose era emaciata e non appena l'abbracciò iniziò a piangere irrefrenabilmente.

"Eliza è sparita," lo informò Jeremy, talmente adirato che a stento riusciva a pronunciare le parole.

Non appena si trovarono soli, Rose raccontò a John quanto aveva saputo dalla madre di Joaquin Andieta. In quegli interminabili giorni in cui aveva atteso il fratello preferito cercando di mettere insieme tutte le tessere del puzzle, si era convinta che la ragazza avesse seguito il suo amante in California, perché lei sicuramente avrebbe fatto la stessa cosa. John Sommers passò il giorno successivo a fare indagini al porto e così venne a sapere che Eliza non aveva acquistato un biglietto, in nessuna imbarcazione figurava nelle liste dei viaggiatori, mentre invece le autorità avevano registrato un tal Joaquin Andieta, imbarcatosi in dicembre. Ipotizzò che la ragazza avesse usato un altro nome per depistarli e rifece lo stesso percorso fornendo di lei una descrizione dettagliata, ma nessuno l'aveva vista. Una ragazza, quasi una bambina, che viaggiava da sola o semplicemente accompagnata da un'india avrebbe sicuramente richiamato l'attenzione, gli assicurarono; inoltre erano assai poche le donne che andavano a San Francisco, solamente quelle dalla vita spensierata e talvolta la moglie di un capitano o di un commerciante.

"Non può essersi imbarcata senza lasciare tracce, Rose," concluse il capitano dopo averle riferito minuziosamente le sue ricerche.

"E Andieta?"

"Sua madre non ti ha mentito. Il suo nome figura in una lista."

"Si era appropriato di alcune merci della Compagnia. Sono certa che l'abbia fatto solo perché non aveva altro modo per finanziarsi il viaggio. Jeremy non sospetta che il ladro che sta cercando sia l'amante di Eliza e spero che non lo venga mai a sapere."

"Non sei stanca di tanti segreti, Rose?"

"E cosa vuoi che faccia? La mia vita è fatta di apparenze, non di verità. Jeremy è fatto di pietra, lo conosci quanto me. Cosa facciamo per la bambina?"

"Domani partirò per la California, il vapore è già carico. Se è vero che là le donne sono poche come dicono, sarà facile trovarla."

"Ma non è sufficiente, John!"

"Hai qualche idea migliore?"

Quella sera, durante la cena, Miss Rose insistette ancora una volta sulla necessità di ricorrere a tutti i mezzi a disposizione per ritrovare la ragazza. Jeremy, che si era mantenuto al margine della frenetica attività della sorella senza offrire un consiglio né esprimere un qualsiasi sentimento, salvo il fastidio per essere oggetto di uno scandalo sociale, dichiarò che Eliza non meritava tutto quel chiasso.

"Questa atmosfera isterica è davvero molto sgradevole. Vi suggerisco di calmarvi. Perché la cercate? Anche se la troverete, non tornerà a metter piede in questa casa," annunciò.

"Eliza non significa niente per te?" lo redarguì Miss Rose. "Non è questo il punto. Ha commesso un errore imperdonabile e deve pagarne le conseguenze."

"Come le ho pagate io per quasi vent'anni?"

Un gelido silenzio cadde nella sala da pranzo. Non avevano mai parlato apertamente del passato e Jeremy non sapeva neanche se John fosse al corrente di quanto era successo tra la sorella e il tenore viennese, perché lui si era ben guardato dal riferirglielo.

"Quali conseguenze, Rose? Ti perdonai e ti accolsi di nuovo. Non hai niente da rimproverarmi."

"E perché, se sei stato così generoso con me, non puoi esserlo anche con Eliza?"

"Perché sei mia sorella e proteggerti è un mio dovere."

"Eliza è come fosse mia figlia, Jeremy!"

"Ma non lo è. Non abbiamo alcun obbligo nei suoi confronti: non fa parte di questa famiglia."

"Sì che ne fa parte!" gridò Miss Rose.

"Basta!" li interruppe il capitano sferrando sul tavolo un pugno che fece ballare piatti e bicchieri.

"Sì che ne fa parte, Jeremy. Eliza appartiene alla nostra famiglia," ripeté Miss Rose singhiozzando con il viso tra le mani. "É figlia di John..."

Jeremy ascoltò allora dai fratelli la rivelazione di un segreto che avevano tenuto nascosto per sedici anni. Quell'uomo di poche parole, così controllato da sembrare invulnerabile alle umane emozioni, per la prima volta esplose e tutto quello che aveva taciuto in quarantasei anni di impeccabile flemma britannica sgorgò a fiotti, affogandolo in un torrente di rimproveri, di rabbia e umiliazioni, perché "guarda che razza di scemo sono stato, Dio mio, ho vissuto sotto lo stesso tetto, in un covo di bugie, senza avere sospetti, convinto che i miei fratelli fossero persone per bene e che tra noi regnasse la fiducia, mentre invece ci lega una consuetudine alle menzogne, un'abitudine alla falsità, chissà quante cose mi avete sistematicamente tenuto nascoste, ma questo è il colmo, perché diavolo non me lo rivelaste, cosa ho fatto per essere trattato come un mostro, per meritarmi di essere manipolato a questo modo? Mi merito forse che sfruttiate la mia generosità e che contemporaneamente mi disprezziate, perché non si può chiamare in altro modo, se non disprezzo, codesto modo di coinvolgermi nelle bugie per poi escludermi: avete bisogno di me solo per pagare i conti, è stato così per tutta la vita, da quando eravamo piccoli vi siete sempre presi gioco di me..."

Ammutoliti, senza trovare la maniera di giustificarsi, Rose e John sopportarono la lavata di testa, e quando il fratello maggiore ebbe concluso la geremiade, nella sala da pranzo regnò un lungo silenzio. Tutti e tre erano esausti. Per la prima volta nella loro vita si erano confrontati privi della maschera delle buone maniere e della cortesia. Qualcosa di fondamentale, che li aveva sostenuti nel fragile equilibrio di un tavolo a tre gambe, sembrava irrimediabilmente rotto; tuttavia a mano a mano che Jeremy riprendeva fiato, mentre si sistemava una ciocca caduta sulla fronte e la cravatta spiegazzata, i suoi lineamenti tornavano all'espressione impenetrabile e arrogante di sempre. Allora Miss Rose si alzò in piedi, gli si avvicinò da dietro la sedia e gli mise una mano sulla spalla, l'unico gesto di intimità che osò fare, con il petto che le doleva di tenerezza per quel fratello solitario, quell'uomo silenzioso e malinconico che le aveva fatto da padre e che non si era mai data la pena di guardare negli occhi. Si rese conto che non sapeva proprio niente di lui e che in tutta la sua vita non l'aveva mai toccato.

Diciassette anni prima, la mattina del 15 marzo 1832, Mama Fresia era uscita in giardino ed era inciampata in una scatola ordinaria di sapone di Marsiglia coperta da un foglio di giornale. Incuriosita, si era avvicinata per vedere di cosa si trattasse e sollevando la carta aveva scoperto una neonata. Era corsa in casa gridando e un attimo dopo Miss Rose era china sul bebè. Allora aveva vent'anni, era fresca e bella come una pesca, indossava un abito color topazio e il vento le scompigliava i capelli sciolti, esattamente come Eliza ricordava o immaginava. Le due donne avevano sollevato la scatola e l'avevano portata nella stanza del cucito, dove avevano tolto i giornali per tirar fuori la bambina avvolta alla belle meglio in un panciotto di lana. Non doveva essere rimasta alle intemperie per molto tempo, avevano dedotto, perché nonostante il ventaccio mattutino il corpo era tiepido e lei dormiva placidamente. Miss Rose aveva ordinato all'india di andare a cercare una coperta pulita, lenzuola e forbici per improvvisare dei pannolini. Quando Mama Fresia era tornata, il panciotto era sparito e il bebè nudo strillava tra le braccia di Miss Rose.

"Riconobbi immediatamente il panciotto. L'avevo fatto io per John l'anno prima. Lo nascosi perché anche tu l'avresti riconosciuto," spiegò a Jeremy.

"Chi è la madre di Eliza, John?"

"Non ricordo il nome..."

"Non sai come si chiama? Quanti bastardi pensi di aver seminato per il mondo?" esclamò Jeremy.

"Era una ragazza del porto, una cilena, ricordo che era molto carina. Non la rividi mai più e non venni mai a sapere che era incinta. Quando Rose mi mostrò il panciotto, un paio d'anni dopo, mi venne in mente che l'avevo messo addosso a quella ragazza sulla spiaggia perché faceva freddo e poi mi ero dimenticato di chiederglielo. Devi capirmi, Jeremy, la vita dei marinai è così. Non sono una bestia..."

"Eri ubriaco."

"Può darsi. Quando capii che Eliza era mia figlia, cercai di rintracciare la madre, ma era scomparsa. Forse era morta, non lo so."

"Per qualche motivo, la madre decise che noi avremmo dovuto allevare la bambina, Jeremy, e non mi sono mai pentita di averlo fatto. Le abbiamo dato affetto, una vita serena, educazione. Forse sua madre non poteva darle niente e per questo portò Eliza avvolta nel panciotto, perché sapessimo chi era il padre," aggiunse Miss Rose.

"Tutto qui? Uno schifoso panciotto? Questo non prova assolutamente niente. Chiunque può essere il padre. Quella donna si è disfatta della creatura con molta astuzia."

"Avevo paura che avresti reagito così, Jeremy. Ed è per questo che a suo tempo non te ne parlai," replicò sua sorella.

 

 

Tre settimane dopo essersi congedata da Tao Chi'en, Eliza si trovava con cinque minatori a lavare l'oro sulle sponde dell'American River. Non aveva viaggiato da sola. Il giorno della sua partenza da Sacramento si era unita a un gruppo di cileni diretti ai giacimenti. Avevano comprato delle cavalcature, ma nessuno si intendeva di animali e i ranchero messicani avevano mascherato abilmente l'età e i difetti dei cavalli e dei muli. Erano bestie patetiche, con le spellature dissimulate dalla vernice e drogate, che, perso lo slancio dopo poche ore di marcia, si trascinavano zoppicando. Ogni cavaliere portava con sé un carico di attrezzi, armi e contenitori di latta, così che la triste comitiva avanzava a passo lento in mezzo a un frastuono metallico. Strada facendo si disfacevano del bagaglio che rimaneva sparso vicino alle croci che punteggiavano il paesaggio a indicare i defunti. Eliza si presentò con il nome di Elias Andieta: era appena giunto dal Cile su incarico della madre per cercare il fratello Joaquin ed era disposto a passare al setaccio l'intera California pur di adempiere alla consegna.

"Quanti anni hai, moccioso?" le chiesero.

"Diciotto."

"Ne dimostri quattordici. Non sei un po' giovane per cercare l'oro?"

"Ne ho diciotto e non cerco oro, ma mio fratello Joaquin," ripeté.

I cileni erano giovani, allegri e l'entusiasmo che li aveva spinti ad abbandonare la loro terra era ancora vivo, per quanto iniziassero ad accorgersi che le strade non erano lastricate di tesori come avevano raccontato loro. All'inizio Eliza non mostrò mai il viso, tenendo sempre il cappello sugli occhi, ma ben presto si accorse che gli uomini non si guardano molto tra loro. Presero per vero che si trattava di un ragazzo e non furono stupiti dalla forma del suo corpo, dalla sua voce o dai suoi modi. Ognuno talmente preso dai fatti suoi, non notarono che non orinava con loro e che, quando incrociavano una pozza d'acqua in cui rinfrescarsi, mentre loro si denudavano, lei si buttava vestita e con il cappello in testa, sostenendo che così ne approfittava per lavare contemporaneamente i vestiti. D'altra parte sull'igiene si poteva anche passare sopra e dopo pochi giorni Eliza era sporca e sudata quanto i suoi compagni. Scoprì che il sudiciume accomuna tutti nella medesima abiezione; il suo naso da segugio distingueva a malapena l'odore del proprio corpo da quello degli altri. La tela spessa dei pantaloni le grattava le gambe, non era abituata a cavalcare per lunghi tratti, e il secondo giorno le natiche scorticate le consentivano di camminare a stento, ma anche gli altri erano gente di città ed erano afflitti quanto lei. Il clima secco e caldo, la sete, la fatica e il perpetuo assalto delle zanzare, ben presto li privarono della voglia di far baldoria. Procedevano in silenzio, con lo strimpello delle loro cianfrusaglie, pentiti ancor prima di essersi dedicati all'impresa. Cercarono per settimane un luogo propizio in cui stabilirsi per cercare l'oro, tempo che Eliza sfruttò per la sua ricerca di Joaquin Andieta. Né gli indizi raccolti né le cartine mal disegnate servivano a molto e quando raggiungevano un buon punto per il lavaggio dell'oro, vi ritrovavano centinaia di minatori giunti prima di loro. Ognuno aveva diritto a reclamare per sé cento piedi quadrati; marchiava il posto lavorandoci giornalmente e lasciandoci gli strumenti quando si assentava, ma se si allontanava per più di dieci giorni, altri potevano occuparlo e registrarlo a loro nome. I peggiori crimini, invadere un ettaro altrui prima della scadenza e rubare, si pagavano con la forca o a frustate, dopo un sommario processo nel quale i minatori facevano da giudici, giuria e boia. Ovunque incrociavano gruppi di cileni. Si riconoscevano dall'abbigliamento e dall'accento, si abbracciavano entusiasti, condividevano il mate, l'acquavite e il charqui, si raccontavano a tinte forti le reciproche disavventure, cantavano canzoni nostalgiche sotto le stelle e il giorno dopo si separavano frettolosamente, senza dimostrazioni di grande affetto. Dall'accento da damerini e dalle conversazioni, Eliza dedusse che alcuni erano signorini di Santiago, figurini azzimati meno aristocratici che pochi mesi prima usavano finanziera, scarpe di vernice, guanti di capretto e avevano i capelli imbrillantinati, ma che nei giacimenti era quasi impossibile distinguere dai più rustici zoticoni, con i quali lavoravano gomito a gomito. Le smancerie e i pregiudizi di classe andavano in fumo a contatto con la brutale realtà delle miniere, ma per l'odio razziale non era così, e al minimo pretesto scoppiava qualche rissa. I cileni, più numerosi e intraprendenti di altri ispanici, si attiravano l'odio dei gringo. Eliza venne a sapere che a San Francisco un gruppo di australiani ubriachi aveva attaccato Cilecito scatenando una battaglia campale. Nei giacimenti erano all'opera diverse compagnie cilene che si erano portate i lavoratori dai campi, coloni che per generazioni avevano vissuto in un regime feudale e che lavoravano per uno stipendio infimo, senza stupirsi che l'oro non fosse di chi lo trovava, ma del padrone. Agli occhi degli yankee questo sistema era semplicemente schiavista. Le leggi americane intendevano favorire i singoli: ogni proprietà era ridotta allo spazio che un uomo da solo riusciva a sfruttare, e le compagnie cilene gabbavano la norma registrando i diritti a nome di ognuno dei lavoranti per acquisire più terre.

C'erano bianchi di diverse nazionalità con camicie di flanella, pantaloni negli stivali e coppie di revolver; cinesi con le loro giacchette trapuntate e gli ampi calzoni; indiani con inconsistenti giacche militari e il posteriore all'aria; messicani vestiti in cotone bianco con enormi cappelli; sudamericani con poncho corti e grossi cinturoni di cuoio in cui riponevano coltello, tabacco, polvere da sparo e denaro; viaggiatori delle isole Sandwich a piedi nudi e con fasce di seta brillanti: una mescolanza di colori, culture, religioni e lingue, con un'ossessione comune. A ognuno di loro Eliza domandava di Joaquin Andieta e chiedeva di far girare la voce che suo fratello Elias lo stava cercando. Addentrandosi sempre di più in quel territorio, si rendeva conto di quanto fosse sterminato e di quanto difficile sarebbe stato ritrovare l'amante in mezzo ai cinquantamila forestieri che brulicavano ovunque.

Il gruppo di cileni esausti alla fine decise di fermarsi. Erano giunti alla valle dell'American River sotto un caldo infernale, solamente con due muli e con il cavallo di Eliza, perché gli altri animali avevano capitolato strada facendo. La terra era secca e screpolata senz'altra vegetazione che pini e roveri, ma un limpido fiume torrentizio scendeva dalle montagne saltando sulle pietre, trafiggendo la valle come un coltello. Sulle rive c'erano file e file di uomini intenti a scavare e a riempire i secchi con la terra fine che poi setacciavano grazie a un dispositivo simile alla culla di un neonato. Lavoravano con la testa al sole, le gambe nell'acqua gelida e i vestiti zuppi; dormivano sdraiati per terra senza abbandonare le armi, mangiavano pane raffermo e carne salata, bevevano acqua inquinata dalle centinaia di scavi a monte e liquore talmente adulterato che molti si ritrovavano il fegato distrutto o impazzivano. Quando Eliza vide morire due uomini nel giro di pochi giorni, in preda alle convulsioni provocate dal dolore e ricoperti dal sudore schiumoso del colera, fu riconoscente alla saggezza di Tao Chi'en, che le aveva raccomandato di non bere acqua che non fosse stata bollita. Per quanto insopportabile fosse la sete, lei aspettava fino a sera, quando si accampavano, per preparare tè o mate. Di tanto in tanto si udivano grida di giubilo: qualcuno aveva trovato una pepita d'oro, ma la maggioranza si accontentava di separare qualche grammo prezioso da tonnellate di terra inutile. Mesi prima si potevano ancora vedere le scaglie brillare nell'acqua limpida, ma ora la natura era stata sconvolta dalla cupidigia umana, il paesaggio alterato da cumuli di terra e pietre, buche enormi, fiumi e ruscelli deviati dai loro corsi e acqua distribuita in innumerevoli pozzanghere, migliaia di tronchi sradicati là dove prima prosperavano boschi. Per arrivare al metallo ci voleva una determinazione da titani.

Eliza non aveva intenzione di fermarsi, ma si sentiva a pezzi e non riusciva a pensare di proseguire a cavallo da sola, alla deriva. I suoi compagni occuparono un appezzamento in fondo alla fila di minatori, piuttosto lontano dal piccolo villaggio che iniziava a sorgere in quel luogo, con la sua taverna e il suo emporio per soddisfare le necessità primarie. I loro tre vicini, originari dell'Oregon, che lavoravano e ingurgitavano alcol con una resistenza fuori dal comune, non persero tempo nei saluti ai nuovi arrivati; al contrario, fecero loro immediatamente sapere che non riconoscevano il diritto ai greasers di sfruttare il suolo americano. Uno dei cileni ribatté sostenendo che nemmeno loro avevano questo diritto, che la terra era degli indiani, e se altre persone non fossero intervenute a placare gli animi sarebbe scoppiata una rissa. In sottofondo si sentiva un baccano continuo di pale, picconi, acqua, pietre che rotolavano e maledizioni, ma il cielo era limpido e l'aria sapeva di foglie d'alloro. I cileni si lasciarono cadere a terra morti dalla fatica e il presunto Elias Andieta accese un piccolo falò per preparare il caffè e diede da bere al cavallo. Impietosita, fece lo stesso con i poveri muli, anche se non erano suoi, e scaricò i bagagli affinché potessero riposare. La spossatezza le annebbiava la vista e a stento riusciva a dominare il tremito delle ginocchia; capì che Tao Chi'en aveva ragione quando l'aveva avvertita della necessità di rimettersi in forze prima di lanciarsi in una simile avventura. Pensò alla casetta di assi e stoffa a Sacramento, dove a quell'ora probabilmente lui stava meditando o scrivendo con un pennino e inchiostro di china nella sua bella calligrafia. Sorrise, meravigliata nel constatare come la nostalgia non evocasse la tranquilla stanza del cucito di Miss Rose o la tiepida cucina di Mama Fresia. Come sono cambiata, sospirò, guardandosi le mani bruciate dal sole inclemente e piene di vesciche.

Un giorno i suoi compagni la mandarono all'emporio a comprare i prodotti indispensabili per la sopravvivenza e una di quelle culle per setacciare la terra, marchingegno che si rivelava ben più efficace dei loro modesti trogoli. L'unica strada del paese, se coìi si poteva chiamare quel gruppo di case, era una fangaia disseminata di rifiuti. L'emporio, una capanna di tronchi e assi, era il centro della vita sociale per quella comunità di uomini soli. Lì si vendeva un po' di tutto, si serviva liquore e qualcosa da mangiare; di notte, quando i minatori andavano a bere, un violinista rallegrava l'ambiente con i suoi pezzi e allora qualcuno appendeva un fazzoletto alla cintura, segno che assumeva il ruolo della dama, e gli altri si disponevano a fare dei turni per farlo ballare. Non c'era una sola donna nel raggio di parecchie miglia, ma di tanto in tanto passava un carro trainato da muli carico di prostitute. Le attendevano con ansia e le ricompensavano con generosità. Il proprietario dell'emporio risultò essere un mormone loquace e di buon cuore, con tre mogli nello Utah, che faceva credito a chi si convertiva alla sua fede. Era astemio e mentre vendeva l'alcol predicava contro il vizio di berlo. Aveva conosciuto un certo Joaquin e il cognome gli sembrava simile ad Andieta, raccontò a Eliza quando lei lo interrogò, ma era passato di lì parecchio tempo prima e non sapeva dirle che direzione avesse poi preso. Lo ricordava perché era stato invischiato in una rissa tra americani e spagnoli a proposito di un ettaro. Cileni? Forse, di certo parlava castigliano, poteva anche essere messicano, disse, a lui tutti i greasers sembravano uguali.

"E come andò a finire?"

"Gli americani si tennero la proprietà e gli altri dovettero andarsene. Come poteva andare a finire? Joaquin e un altro uomo rimasero qui nell'emporio due o tre giorni. Misi una coperta lì in un angolo e li lasciai riposare fino a che non si furono rimessi un po', perché ne avevano prese parecchie. Non erano cattive persone. Mi ricordo di tuo fratello, un ragazzo dai capelli neri e dagli occhi grandi, piuttosto bello."

"Proprio lui," disse Eliza con il cuore che batteva al galoppo.